Ogni anno, a Settembre, camioncini dall'andatura pacata e circospetta incedevano lungo le vie del paese. Dai microfoni i richiami dilatati, gracchianti e metallici replicavano, instancabilmente, una sequela di elogi alla mercanzia trasportata. Pomodori.
I vetturali invitavano, con ritmo di
voce moncorde e insistente, gli abitanti al necessario e
provvido acquisto. Gente che confluiva alla spicciolata nelle
strade e si raccoglieva intorno al veicolo.
Occhi scrupolosi, mani
discrete e giudiziose appuravano la fondatezza dell'esaltazione
declamata.
Dopo aver abilmente
mercanteggiato, quintali di pomodori disseminati in ogni casa
suggellavano l'inizio di una nuova antica pratica. Ma c'era anche chi
attingeva dalle proprie fortune terriere, e l'ancestrale percorso
sensoriale ne amplificava il valore.
Sono trascorsi anni da
quando, nel periodo che anticipava di qualche settimana il ciclo
scolastico, molte erano le famiglie che, come in una importante e
lieta ricorrenza, davano il via ai preparativi per il rito della
salsa fatta in casa.
Tutti festosamente
coinvolti. Un via vai allegro e indaffarato in un fluente
avvicendamento di pomodori, effluvi, aneddoti e risa , alternati come
nel cerchio di oggetti lanciati da un giocoliere, equilibrato da un
incessante, alacre impegno.
Ai bambini erano affidati
i compiti di “alta responsabilità”: sottrarre il peduncolo,
girare la manovella del passapomodoro (che sudata!) porgere arnesi di
leggero peso e, soprattutto, infrangibili!
Ogni pomodoro entrava
nella larga tinozza della lavatura solo dopo una scrupolosa
selezione.
Frattanto, su un grande
fornello treppiedi a gas, un pentolone gonfio d'acqua bollente era
già predisposto per accogliere il tuffo dei pomodori. Un clima
tropicale creato dai nembi fumanti e profumati che si levavano dal
bollente sciabordio, annunciava il recupero dei polposi vegetali. Con
l'ausilio di colini erano trasferiti in voluminosi scolapasta o
poetici drappi di cotone a sgocciolare l'acqua in eccesso. La polpa,
attraversando il collo dell'imbuto della macchina passamodoro con
apposito filtro per eluderne simultaneamente, semi e buccia, dava
origine a cascate di salsa. Rimestata continuamente e portata a
ebollizione per qualche minuto. Il fluido purpureo dall'esalazione
dolce e acre, veniva riversato in bottiglie di vetro saldamente
chiuse con tappi a corona di metallo. Calate dal collo in una
modesta quantità d'acqua sul fornello per il processo di
pastorizzazione, che consentiva la conservazione, lungo tutto
l'inverno, di un'immagine tramandata e mai “passata”.
Che il Sole vi baci!